giovedì 12 febbraio 2015

Dell'insignificanza

Difficile essere delusa due volte di seguito da due autori che amavo molto, eppure mi è successo ancora. Dopo Houellebecq ora anche l'ultimo libro  di Kundera, La festa dell'insignificanza, mi lascia quantomeno insoddisfatta.
Kundera sembra l'ombra di se stesso: i tratti distintivi della sua poetica, il ruolo dell'ironia che smaschera le dittature, i giochi su quello che avrebbe potuto accadere, i personaggi che pensano e discutono di argomenti filosofici ed esistenziali, a partire dall'ombelico mostrato dalle giovani donne, sono solo pallide imitazioni dei suoi grandi libri. Peccato. L'insignificanza è l'essenza della vita, ma non della letteratura.

Chissà perché alcuni autori non mantengono il livello dei loro esordi, come se in fondo avessero solo alcuni grandi temi da affrontare e lo facessero in pochi libri, che colpiscono i lettori e segnano un periodo, e poi non riescono più ad evolvere e a trovare altri temi.
Forse ognuno di noi ha soltanto una costellazione di senso, una matrice di simboli, una storia da raccontare.
I grandi scrittori riescono a tradurre questa costellazione in uno o più libri, pochi in realtà.
Noi persone comuni viviamo la nostra storia e ci immergiamo nei simboli che ci circondano senza essere in grado di narrarli, se non a volte alle persone che amiamo, al compagno, ai figli.
Poi ci sono pochi grandissimi geni che riescono a far crescere la loro costellazione, vi aggiungono persone e personaggi, significati e interpretazioni nuove e fanno evolvere il loro mondo fantastico insieme al mondo, a volte anticipando il senso del mondo.

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