martedì 25 agosto 2015

Elena Ferrante e la smarginatura del femminile


Ci sono libri che toccano qualcosa di profondo in noi, che non si riesce subito a capire e ci vuole tempo per elaborare. Ho letto i quattro volumi de L'amica geniale, come faccio sempre quando una lettura mi appassiona, tutti di seguito, nel mese di maggio. Ho pensato di scrivere qualcosa, ma mi ci sono voluti mesi per rifletterci.
Intanto la Ferrante non ha vinto il premio Strega.
Intanto ho letto un altro libro di psicoanalisi infantile, Il dramma del bambino dotato, un libro di Alice Miller, psicoanalista controversa, che si è allontanata dalla società psicoanalitica in polemica sulla teoria dei traumi infantili, perchè sostiene che i bambini sono oggettivamente maltrattati, sia fisicamente che psicologicamente, e che questa è la radice del malessere sociale nel quale tutti viviamo. Mentre  la psicoanalisi considera con cautela  la realtà del trauma psichico, dando maggior spazio alle fantasie infantili ed alle angosce, considerate primarie, della nostra esistenza.
La Miller sostiene che le madri, in particolare, creano un rapporto patologico con i propri figli, un rapporto nel quale riversano il disprezzo, come una  rivalsa delle ferite ricevute della loro infanzia.
Oppure le madri  si vendicano  nel rapporto con i figli  del rinnovato dolore che suscita la trascuratezza o la violenza  del compagno, anch'egli ferito, sempre, inevitabilmente, da una madre.
Anche le relazioni del romanzo de L'amica geniale sono relazioni piene di violenza, di rancori, di gelosie e invidie, di rispecchiamenti e di simbiosi malate.
Però sono colme di sentimenti e di creatività e di rivalse che possono  ad un certo punto essere in qualche modo salvifiche. Ci sono traumi e tentativi di sollevarsi dal trauma, cadute e riscatti, incompiuti spesso. Ambivalenti spessissimo.

Lila scompare, non lascia tracce, non vuole essere trovata.
Allora Elena, Lenuccia, Lenù, scrive di lei, racconta la loro storia, la storia di una amicizia.
Nel leggere L'amica geniale si segue il filo del gioco doppio delle identità. Lenù  si confronta con il suo doppio Lila, nata il suo stesso anno, nello stesso mese, che vive nello stesso quartiere. Giocano con le bambole e Lila le butta la sua in uno scantinato buio dell'orco del condominio. Come in una favola le bambine vanno a cercare la bambola e non trovandola Lila ha il coraggio di bussare alla porta dell'Orco, ma prima prende per mano Lenù.
Cerca il coraggio? Vuole consolarla e incoraggiarla?
Comincia il gioco di specchi tra le due amiche.  Non si sa chi tra le due sia davvero l'amica geniale, l'amica che ha il Genius, l'ingegno, ma anche il demone che scombina le carte, che trasgredisce le regole.
Lila è coraggiosa, ma è anche cattiva, è capace di leggere e comprendere argomenti nuovi velocemente e in modo profondo, ma non porta a termine i suoi progetti e basta uno scatto di orgoglio ferito per buttare tutto all'aria. Lila la scarpara, la commerciante, la sposa invidiata, l'amante, l'operaria. la sindacalista, l'informatica. Lila che vuole solo non lasciare tracce, che critica il successo e spinge l'amica a trovare la sua strada.
Lila che ama, viene abbandonata e  tradita. Lila che viene di nuovo adottata da un amante modesto, ma fedele, Enzo.

Lenuccia ha una madre claudicante, che la controlla, la giudica e tenta di tenerla con lei, a scapito dei suo talento, una madre gelosa che si irrita per l'attenzione che la bambina suscita nella sua maestra, che le fa pesare i soldi per fare l'esame e passare alle scuole medie. L'esame che Lila non potrà fare.
Lena non vuole essere come sua madre, si allontana da lei e da Napoli (e da Lila) alla ricerca di un riscatto attraverso la cultura e la scrittura.

Le madri sono davvero il motore di tutto? Sono la radice dei traumi e dei riscatti? Hanno la colpa di aver generato e la colpa di essersi aspettate qualcosa dal frutto del loro grembo?
"Io ti ho fatto ed io ti sfaccio" dicono a volte ai loro figli..

Lena lascerà le sue bambine insiema al marito, tradito per stare con il suo amore, inseguito per una vita, lo stesso che aveva tradito Lila. Anche la protagonista de I giorni dell'abbandono, altro racconto della Ferrante, vive i figli come un peso, un ostacolo, anche la professoressa de La figlia oscura lascia le figlie al marito.
Invece Lila  "perde" la sua bambina, che scompare, forse rapita, forse uccisa. Un altro trauma della maternità. Madri che abbandonano, madri che soffocano, madri che cercano una soddisfazione nella vita delle figlie. Figlie che amano e detestano le proprie madri, che si allontanano, che scompaiono.

Entrambe le protagoniste sembrano rappresentare i conflitti dell'essere donne nella seconda metà del Novecento, la tensione verso la libertà dai ruoli della famiglia di origine, che si acquisisce solo
sposandosi, ma anche l'emancipazione attraverso lo studio, che porta Elena a conoscere il mondo del femminismo, mentre Lila si emancipa nel lavoro e nel ruolo di sindacalista. La difficoltà di conciliare il lavoro di cura dei figli con il proprio lavoro e le proprie ambizioni. Il tradimento  più grande sembra quello di essere indipendente dall'obbligo della maternità e dalla seduzione

Non è facile riuscire a rendere l'intreccio di tutti questi piani e temi, che si snodano lungo i quattro romanzi della Ferrante: i due assi che si intersecano, della costruzione della identità femminile e quello delle relazioni madre-figlia, uomo-donna, sono interconnessi e mobili allo stesso tempo e attraversano varie storie collaterali.

La perdita dei margini, la smarginatura, l'esperienza che trasforma la realtà di ogni giorno in una mondo che si scioglie, perde consistenza e senso, simboleggia forse la difficoltà di creare una identità femminile, materna, individuale e sociale per le due amiche.
Daltronde anche Elena Ferrante non c'è, al di là della sua scrittura non esiste, non è vista. (e proprio per questo suo nascondersi all'ineluttabile commento mediatico sul suo aspetto, sulla sua vita privata, penso che sia una donna).

Quindi credo  che avrebbe meritato di vincere il premio, lo Strega o un altro, perchè a differenza delle interpretazioni lineari che dà l'analista Miller, la Ferrante raccontando di donne si interroga sulle loro relazioni e sulla loro difficile identità di madri, spose, figlie, scrittrici, operarie, senza dare risposte, senza suggerire soluzioni, come ogni grande romanziere, che tenta di ricostruire la complessità della vita.

Per quello che riguarda me, invece, la riflessione che alla fine è emersa dalla lettura della Ferrante è che il compito più complesso è certamente  riuscire ad amare i figli per quelli che sono e non per quello che vorremmo che fossero, ma soprattutto, da figlie adulte, ad amare le madri così come sono e non per quelle che vorremmo fossero state.


Nessun commento:

Posta un commento